I videogiochi offrono la possibilità di interagire in uno scenario immaginario, concretizzato visivamente grazie al supporto video-digitale. In tale scenario, il paziente può esprimere gli aspetti salienti di sé in assoluta libertà e con meno difese rispetto al ricorso esclusivo al dialogo, grazie alle proprietà immersive del videogioco che rendono l’esperienza ludica particolarmente spontanea e grazie all’attivazione dell’esperienza di FLOW, nel quale i due emisferi sono in equilibrio rispetto alle sfide ed agli obiettivi che il gioco richiede ed interagiscono tra loro in modo equilibrato.
L’approccio della Video Game Therapy® è nato nel 2019, da un’idea del Dott. Francesco Bocci, riprendendo dalla letteratura americana della dalla Geek Therapy di Anthony Bean, del 2018 oltre che dallo psicodramma classico e dalla letteratura sullo storytelling, in un periodo in cui il videogioco faceva fatica ancora ad essere riconosciuto come uno strumento potenzialmente terapeutico da utilizzare in ambito clinico.
All’interno dell’approccio della VGT® vengono integrate varie tecniche psicologiche quali:
– Ascolto attivo
– Libere Associazioni
– Immaginazione attiva
– Esposizione allo stimolo
– Catarsi
– Desensibilizzazione rispetto ad un ricordo/evento traumatico
– Storytelling
– Skill Training e Meta Cognizione
– Internal Family System®
Attualmente la VGT (Video Game Therapy®) vuole portare a termine i seguenti obiettivi terapeutici:
– promozione della sperimentazione emotiva con l’altro (terapeuta), favorire processi empatici e di mentalizzazione;
– promozione dell’alfabetizzazione emotiva;
– favorire la consapevolezza dell’emozione primaria della “scoperta”;
– desensibilizzazione e compensazione rispetto ad una cognizione persistente di inferiorità;
– promozione del sentimento sociale: il gioco diventa cooperazione reciproca e condivisione di dinamiche interne;
– favorire la consapevolezza di un proprio ruolo in un dato momento di vita, grazie alla correlazione tra lo stile di vita reale del giocatore con l’avatar del protagonista o di un personaggio del videogioco all’interno di una storia narrata virtualmente;
– favorire lo skill training rispetto a determinate skill deficitarie nel soggetto;
– attivazione di un’esperienza immersiva e trasformativa attraverso lo stato di FLOW;
– favorire processi di insight, l’autoregolazione e l’autoriflessività;
– favorire il sé creativo e la narrazione di Sé.
E’ di fondamentale importanza che il focus del percorso non sia tanto legato al contenuto o al mezzo utilizzato (nel nostro caso il videogioco), ma soprattutto al “come”, al “modo” in cui il terapeuta o caregiver lo propone e lo agisce in seduta.
Il gaming (ed il digitale in genere) riattiva dinamiche “proiettive” e “difese primordiali” in un ambiente “protetto” e “regolato”. Il “fare” “giocando” nella relazione permette così al terapeuta ed al paziente gamer, alla diade terapeutica, di “immaginare”, di “essere e rimanere fluido” nella relazione, di far rivivere proiezioni ed identificazioni, come anche vissuti emotivi, traumi passati, ricordi d’infanzia, senza rimanere incastrati in essi, ma dandone un significato adattivo e creativo.